Grandi numeri, piccoli numeri

Contano di più i fatti o i numeri? In questa storia tutti e due: anzi, i numeri completano i fatti e danno loro ancora più importanza e significato.

In questi ultimi giorni, presso il nostro Centro di Accoglienza Straordinaria (CAS) di Romans d’Isonzo, una struttura da sedici posti, che rientra nella tipologia della cosiddetta accoglienza diffusa – piccoli centri con numeri ristretti di ospiti – è stato toccato un piccolo record. Infatti, sette delle persone accolte, sulle tredici attualmente ospitate presso il centro, sono inserite in percorsi lavorativi regolari. Sei di loro – 5 richiedenti asilo e un rifugiato – sono attualmente impiegati in diversi ambiti, dalla logistica, alla produzione, al confezionamento, presso varie aziende del territorio. Il sesto, invece, titolare di protezione sussidiaria, sta svolgendo un tirocinio formativo come aiuto cuoco, presso il ristorante di un albergo. Sono numeri significativi che raccontano tanto, smentiscono luoghi comuni e, se letti con un po’ di approfondimento, creano le basi per un circolo positivo di fiducia reciproca.

Sette su tredici, infatti, non è un’eccezione: è un grande numero, cui si è giunti non per caso o per fortuna, ma grazie a condizioni e presupposti imprescindibili. Una di queste è sicuramente la lingua. I ragazzi accolti presso i nostri CAS, fino alle nuove disposizioni che regolano l’accoglienza, hanno frequentato corsi di italiano e molti di loro hanno raggiunto un livello di conoscenza che li ha aiutati a essere più facilmente inseribili in percorsi lavorativi. Accanto allo sforzo personale degli ospiti, però, c’è anche l’instancabile lavoro degli operatori e dei volontari per aiutare e agevolare la ricerca di un’occupazione, attraverso la stesura dei curricula, il contatto con possibili datori di lavori e l’iscrizione presso i centri per l’impiego.

Quando una persona accolta trova lavoro si crea una sorta di effetto domino, anche per noi inaspettata. Si innesca una spirale positiva, si sparge la voce, il titolare cerca altri dipendenti, aumentano i contratti, gli ospiti ancora inoccupati si impegnano di più nella ricerca o nello studio della lingua, si ottimizzano le risorse e c’è un senso generale di appagamento nel vedere che i risultati sono reali, tanto quando gli sforzi compiuti. Grazie al lavoro, queste persone, che si trovano ancora nella fase di richiesta di asilo – alcune di loro da due anni – qualora dovessero vedere la loro domanda accolta positivamente, saranno già autonome e pronte a una vita indipendente, saltando così la seconda accoglienza e facendo sicuramente risparmiare le istituzioni.

Questa, come altre storie, raccontate così sarebbero parziali, bisognerebbe parlare anche delle fatiche, delle incomprensioni e delle contraddizioni, come quella di non poter percepire uno stipendio, regolarmente guadagnato, perché molti istituti bancari non permettono l’apertura di conti correnti a chi non possiede la carta d’identità, perché impossibilitato a iscriversi presso l’anagrafe del Comune di resistenza, come disposto dal nuovo Decreto Sicurezza. Ce la faremo anche a spiegare alle banche che, però, il permesso di soggiorno rilasciato per il periodo di valutazione della richiesta di asilo è un valido documento di identità. Si farà un po’ di fatica e si intavolerà qualche discussione, ma riusciremo anche in questo.

Oggi, però, desideriamo festeggiare questo grande numero, reso possibile dai piccoli numeri, ovvero quelli dall’accoglienza fatta nei centri in cui risiedono poche persone, dove si riesce a creare una condizione di normalità e stabilire contatti umani più stretti e reali, dove è più facile accorgersi se i percorsi di inclusione stiano andando bene o male e, così, intervenire per migliorare le condizioni. E’ questo il tipo di accoglienza in cui crediamo e che continueremo a sostenere e promuovere, perché dai piccoli numeri escono grandi risultati.

RDP